L’editoriale di Francesco Leggieri
Non sappiamo se effettivamente questi due ragazzi leccesi fossero estremamente felici. Certo è che volavano basso, nessuno spreco; avevano deciso di vivere in una casa popolare. Forse per comodità. Di certo è che l’omicida aveva origliato in casa loro, nel periodo della convivenza (aveva una stanza in fitto, pagata in nero).
“Ho fatto una cavolata. So di aver sbagliato. Li ho uccisi perché erano troppo felici e per questo mi è montata la rabbia”. Questo quanto affermato dal presunto omicida, un ragazzo introverso, chiuso, con poche amicizie, così lo descrivono i conoscenti. Il Comandante Provinciale dell’arma dei Carabinieri Paolo Dembech, escludendo a priori il movente passionale, è stato chiarissimo, forse come in poche altre occasioni abbiamo sentito da un addetto ai lavori. Ha spiegato, nei particolari, per quanto potesse, il percorso dell’assassino, le testimonianze degli inquilini o comunque dei vicini dei poveri ragazzi, la vita condotta dal De Marco, le considerazioni dei suoi paesani e colleghi del corso infermieristico.
Le considerazioni in breve. Questa storia ci insegna quanto, attraverso i social, veniamo spiati dalle persone più introverse, decisamente le più attive attraverso face book e applicazioni similari, non tanto nel mostrarsi, ma quanto nel seguire, passo passo, la vita degli altri. Nel caso specifico, l’individuo deve anche essere stato spettatore di qualche effusione fra i due giovani innamorati, decisi a convivere e, forse, a sposarsi a breve. Non è casuale che la mattanza l’abbia messa in atto il primo giorno di convivenza nella stessa casa dei ragazzi. La loro prima cena. “Vi distruggo”, nel vero senso della parola. Questo il suo motto.
Il fatto.
Non un movente «passionale» ma «una questione interiore», legata alla coabitazione. Un’invidia per i due fidanzati, per la loro felicità, per la solarità che traspariva dalle loro vite. Sarebbe questo il movente dell’omicidio di Daniele De Santis e della fidanzata Eleonora Manta, a poche ore dal fermo di Antonio De Marco, il 21enne reo confesso del duplice delitto. «Ho fatto una cavolata. So di aver sbagliato. Li ho uccisi perché erano troppo felici e per questo mi è montata la rabbia», avrebbe detto agli investigatori De Marco.
Le chiavi, i pizzini e il pugnale da caccia
Nella conferenza stampa di martedì mattina gli inquirenti ricostruiscono le ultime ore dei due giovani uccisi il 21 settembre. E provano anche a tracciare il profilo psicologico di De Marco, un giovane introverso, con poche amicizie, «che intratteneva comunicazioni compartimentate, limitandosi a un sì o a un no». E che al momento del fermo mostra un atteggiamento quasi rassegnato verso i carabinieri («da quando mi stavate pedinando?», dice loro). Prima del delitto, lo studente di scienze infermieristiche, aveva preso in affitto una stanza nell’appartamento dell’arbitro e per brevi periodi aveva convissuto con la coppia. Su richiesta di De Santis, il giovane aveva lasciato l’appartamento ad agosto e si era trasferito in un’altra casa, sempre a Lecce. Da allora, dicono gli inquirenti, avrebbe cominciato a pianificare l’omicidio nei dettagli, malgrado il trasferimento non avesse rappresentato motivo di screzio tra locatario e affittuario. De Marco aveva una copia delle chiavi di casa, come spiega il comandante dei carabinieri Paolo Dembech. Nel progettare l’assassinio si era anche dato delle regole per non essere scoperto, dei “pizzini” persi durante la fuga, una sorta di «cronoprogramma» dell’omicidio. Quella sera, il 21enne sarebbe entrato in casa dove De Santis e Manta stavano cenando e avrebbe sferrato proprio in cucina le prime coltellate contro Daniele. L’arma utilizzata, un pugnale da caccia (e non da sub come ipotizzato in un primo momento), era stato acquistato da pochi giorni. «È stato ritrovato solo il fodero, ma non il coltello»: De Marco se ne è disfatto buttandolo in una discarica, nei rifiuti già raccolti. E si è liberato anche dello zainetto.