Da quando il coronavirus è diventato una minaccia, sono in tanti a domandarsi quando finirà quest’epidemia. Secondo gli storici, le pandemie in genere hanno due diverse conclusioni: quella medica, che si realizza quando cala l’incidenza e si riduce il tasso di mortalità, e quella sociale, che avviene quando si esaurisce la paura di essere contagiati. “Le persone che chiedono ‘Quando finirà?’ si riferiscono alla fine sociale” dice in un’intervista a The New York Times il dott. Jeremy Greene, storico della medicina presso la Johns Hopkins University di Baltimora. In sostanza, la fine di un’epidemia può verificarsi non perché quella determinata malattia è stata sconfitta ma perché le persone si stancano dell’atteggiamento di panico e imparano a convivere con il virus. Anche Allan Brandt, uno storico di Harvard, ritiene che qualcosa di simile stia accadendo con Covid-19: “Molte domande sulla fine dell’epidemia sono determinate non da dati medici e di salute pubblica ma da processi sociopolitici”. Secondo quanto riporta Dora Vargha, una storica dell’Università di Exeter, in Inghilterra, le conclusioni delle epidemie “sono molto, molto disordinate” perché, riguardo al passato, “abbiamo una narrazione limitata”.
Come sono finite le pandemie del passato?
Come premesso, il panico e la paura della malattia sono aspetti caratteristici di un’epidemia che si possono presentare anche senza che si verifichi un solo caso di infezione. Lo sa bene la dott.ssa Susan Murray del Royal College of Surgeons di Londra che, nel 2014, lavorava in un ospedale irlandese. Nei mesi precedenti, oltre 11.000 persone erano morte di ebola nell’Africa occidentale e, nonostante in Irlanda non ci fossero casi, la paura era palpabile. “Per strada e nei reparti, le persone sono ansiose – ha recentemente ricordato Murray al New England Journal of Medicine – . Avere la pelle di colore diverso è sufficiente per essere guardati di sbieco dai passeggeri di un autobus o di un treno. Basta un solo colpo …
L’influenza spagnola
L’influenza del 1918, ritenuta la prima delle pandemie del XX secolo che coinvolgono il virus H1N1, è oggi un esempio dell’importanza della quarantena e delle misure di distanziamento sociale. Arrivò a infettare circa 500 milioni di persone su una popolazione mondiale di circa 2 miliardi, uccidendone 50-100 milioni. Era l’autunno del 1918 quando il dott. Victor Vaughan, un medico statunitense al servizio dell’esercito americano, fu inviato al campo militare di Fort Devens, nel Massachusetts, per riferire di un’influenza che stava infuriando in quella zona.
Una volta sul posto, vide “centinaia di vigorosi giovani con l’uniforme indosso che entrano nei reparti dell’ospedale in gruppi di dieci o più. Vengono ammassati sulle brandine fino a quando ogni letto è pieno, e altri si affollano. Diventano presto cianotici, una tosse angosciante fa apparire espettorato macchiato di sangue. Al mattino i cadaveri sono ammucchiati nell’obitorio”. Descrivendo l’andamento della malattia, riportò che il virus “dimostra l’inferiorità delle invenzioni dell’uomo, distruggendo le vite umane”.
Questa influenza, alla quale fu attribuito il nome di Spagnola perché la sua esistenza fu dapprima riportata soltanto dai giornali iberici, si diffuse rapidamente nei Paesi coinvolti nella prima guerra mondiale e, dopo una letale seconda ondata, svanì, probabilmente perché il virus subì una mutazione rapida verso una forma meno pericolosa di influenza. “È stata forse come la fiamma di un incendio che, dopo aver bruciato il legno disponibile e facilmente accessibile, si spegne” ha affermato il dott. Snowden.
Come finirà il Covid-19?
Una possibilità, affermano gli storici, è che la pandemia di coronavirus possa finire socialmente prima che termini dal punto di vista medico perché, anche se il virus continuerà a circolare, le persone potrebbero stancarsi delle restrizioni, ritenendola finita prima che si sia trovato un vaccino o un trattamento efficace. “Credo che ci sia questo tipo di problema psicologico e sociale di stanchezza e frustrazione – ritiene Naomi Rogers, storica della Yake University – . Può arrivare un momento in cui le persone dicono ‘Basta così’. Merito di poter tornare alla mia vita normale”.
Qualcosa che, in molti Paesi, sta già accadendo. Alcune autorità hanno revocato le restrizioni, permettendo la riapertura dei saloni di bellezza, di parrucchieri e palestre, e sfidando gli avvertimenti di commissioni di sanità pubblica e comitati scientifici per i quali alcuni allentamenti sono prematuri. Man mano che la crisi economica provocata dai blocchi crescerà, sempre più persone potrebbero quindi essere pronte a dire “è abbastanza”. “Adesso c’è questo tipo di conflitto” rileva la dott.ssa Rogers. La sfida, conclude lo storico Brandt, arriva perché non ci sarà una vittoria improvvisa. Cercare di definire la fine dell’epidemia “sarà un processo lungo e difficile”. FONTE FANPAGE.IT