QUEL 5 LUGLIO DEL 79… 45 ANNI ADDIETRO.
Diario della Missione di Recupero Profughi Vietnamiti.
Taranto, 5 luglio 1979, ore 10.00. La maggior parte dell’equipaggio delle due gloriose navi da guerra, appartenenti alla flotta della MARINA MILITARE ITALIANA, “Vittorio Veneto” e “Stromboli”, è schierato allo scoperto. Con i motori al minimo, ci accingiamo a lasciare il mar Piccolo; da lontano s’ode una miriade di voci e successivamente un grande applauso.
E’ la gente che attende la nostra uscita. Sono momenti commuoventi. Sul lato sinistro del ponte girevole si intravede una bandiera con la scritta “Siamo con voi”. E’ l’augurio offertoci dai marinai congedanti che sono dovuti sbarcare. Stiamo per oltrepassare il “ponte girevole”, scortati dagli elicotteri e dai rimorchiatori, i quali, lanciando in aria un grande getto d’acqua, ci augurano “buona fortuna”.
Proveniente da La Spezia, si unirà a noi, più tardi, l’Incrociatore “Doria”. Il saluto alla cittadinanza Avvolti da quella calda atmosfera, non si riesce a trattenere le lacrime: il mio stato d’animo è particolarmente sconvolto, non solo dal pensiero dell’importante missione che andiamo a compiere, ma anche per ciò che ho lasciato a Taranto; due cuori di cui il più piccolo batte da poche ore.
In tutta questa situazione, oltre che giovane padre, mi riscopro bambino. La guardia è a posto (si dice così, in linguaggio marinaresco, quando la nave è pronta a partire). Proprio quando abbiamo raggiunto l’assetto di navigazione, mi volto e scopro tre visi orientali: due sacerdoti ed un giovane.
Sono vietnamiti e ci accompagneranno per tutta la durata della missione. Ore 15:00 In poco tempo sono riuscito a familiarizzare con i tre ma, in modo particolare, con il giovane Domenico.
Il giovane mi ha fatto capire, in pochi minuti, quali proporzioni ha raggiunto il problema dei profughi in questo periodo. Man mano che le ore trascorrono, vado acquisendo sempre più sicurezza e tranquillità.
Durante tutta la traversata, prima del Canale di Suez, poi del mar Rosso ed infine dell’Oceano Indiano, l’equipaggio risponde in maniera encomiabile. Il 21 luglio giungiamo a Singapore: un impianto stereo acquistato, dopo aver lottato un po’ con il venditore, per rendere il prezzo più accessibile alle nostre tasche, ci rende, per qualche attimo, felici.
25 luglio 1979: le minacce In questi quattro giorni ci è giunta notizia che sia Mosca che Hanoi non hanno gradito la nostra presenza in questa parte del mondo: dai visi di ognuno di noi si scorge la preoccupazione che possa succedere qualcosa, ma non è paura! Tutto è pronto: a Singapore sono saliti a bordo i giornalisti sia delle testate più importanti che della televisione italiana. L’assetto “imbarco profughi” siamo capaci ad ottenerlo in pochissimo tempo.
Ecco i “Boat people”, 26 luglio 1979
Sono le prime ore del mattino, il cielo è ancora scuro e, all’improvviso, sul monitor del radar, compare qualcosa. Dopo accurati accertamenti, ci rendiamo conto che sono proprio loro: i” profughi”, meglio conosciuti nel mondo come “Boat People”. Sono 128 ed occupano una barca di piccole dimensioni.
Ci accostiamo. L’incarico di chiedere se hanno intenzione a trasferirsi in Italia è stato affidato a don Filippo, uno dei due sacerdoti vietnamiti. Dopo le sue parole si ode la gente esultare, il che sta a significare l’inizio della grande opera.
Tutto è stato preparato in modo impeccabile secondo le disposizioni, tranne quella commozione generale che sta prendendo tutto l’equipaggio in contropiede: inizia la fase d’imbarco. La prima a salire è una vecchietta che, terribilmente commossa, parlando un francese appena comprensibile, ci dà il “buongiorno”.
Dopo di lei inizia una vera e propria corsa alla vita che vede la maggior parte dell’equipaggio impegnato a donare le proprie energie per portare a bordo quei corpi scarni di uomini, donne e bambini, riunirli sul ponte di volo dal quale, poco tempo prima, era decollato l’elicottero della pace che aveva dato loro la certezza di poter continuare a vivere.
E’ un momento di gioia e commozione. Colui che in quel momento sta assistendo dall’alto al defilamento di quei corpi, ha sicuramente nella mente un misto di compassione e rabbia: la prima, rivolta a quei malcapitati appena imbarcati; la seconda a chi aveva fatto in modo che, gli stessi, si trovassero in quella condizione.
Sul viso di ognuno di noi è facile riscontrare grande stanchezza ma anche la felicità del buon fine dell’operazione! L’incontro con i profughi Ecco il risultato della prima parte dell’operazione che qualcuno, malignamente, aveva definito “pacchetto Zamberletti” (prendeva il nome dall’allora Sottosegretario di Governo incaricato a supervisionare la missione): delle centoventotto persone imbarcate, ventitré sono bambini, i restanti giovani e qualche anziano.
Superate le prime fasi dell’operazione d’imbarco, cioè visite mediche, vestizione effettuata con quello che avevamo portato (tute da lavoro in dotazione ai marinai), sistemazione negli alloggi resi idonei ad ogni loro esigenza, tutti a pranzo! L’equipaggio, col passare del tempo, familiarizza sempre più con i profughi.
Mentre guardo quella moltitudine di persone, il mio sguardo si sofferma su una ragazza “ Hoa”, questo è il suo nome o forse il cognome: è una studentessa ed ha circa 20 anni. L’accompagno nell’alloggio destinato ai rifugiati, dopo averle offerto del cibo (da sottolineare che digiunava ormai da 9 giorni), mi siedo accanto a lei e le chiedo in francese se posso rendermi utile in qualche modo.
Con un sorriso mi fa capire che è finalmente felice, poi, su mia richiesta, sempre in francese, mi racconta un po’ della sua storia. Quando era salita su quella piccola imbarcazione, non conosceva nessuno degli altri profughi: erano stati i suoi genitori a darle il denaro affinché potesse pagare, al governo vietnamita, la tassa imposta per l’espatrio volontario.
Dopo un po’ mi accorgo che ha gli occhi lucidi e comprendo quanto possa essere inutile, in quel momento, farle ricordare quei tragici eventi. Conosciuti gli altri profughi di quel gruppetto che si era seduto accanto a me, inizio a parlare loro dell’Italia e degli italiani.
I bambini danno un gran da fare, segno che godono di ottima salute tranne una, di appena tre mesi: all’improvviso mi ricordo di avere nel mio cassetto un completino che avevo comprato per il mio bambino. Corro subito a prenderlo per donarglielo: le porterà fortuna!
A bordo c’è vita come non mai
Intanto la vita di bordo scorre gioiosamente ed i sacrifici ed i sovraccarichi di lavoro non sembrano impensierire nessuno, anzi l’entusiasmo sembra aver contagiato l’equipaggio e tutto sembra più facile. Si susseguono gli avvistamenti di altre imbarcazioni alla deriva e il relativo imbarco di altri profughi. In poco tempo sono diventati più di trecento mentre le altre navi italiane, impegnate insieme al Vittorio Veneto (Doria e Stromboli) ne hanno imbarcato circa altri seicento per un totale di novecentosette effettivi.
La nostra fortuna è di avere, a bordo del Vittorio Veneto, l’Ammiraglio Agostinelli ed il Comandante Mariotti: due veri condottieri che riescono ad infonderci una tranquillità impossibile da immaginare solo qualche giorno addietro. L’armonia che regna sovrana fra tutti i componenti dell’equipaggio sa di sovrannaturale. Una bambina, in particolare, si è affezionata a me più degli altri piccoli vietnamiti: ha nove mesi e, ogni volta che mi vede, vuole essere portata in giro per la nave.
E’ stupendo vedere un’insegnante che ha riunito i bambini che vanno dai sette ai dieci anni e fa loro lezione come se fossero a scuola. Mentre ci allontaniamo sempre di più da quei luoghi, si fanno sempre più ricorrenti le domande sull’Italia da parte dei rifugiati.
Ora sono tutti vestiti con le magliette fornite loro dalla cooperativa di bordo (una sorta di bar), tutte di tipo diverso per dare una nota di colore ed un senso di libertà. La novità più importante e, secondo me decisiva nell’inserimento dei rifugiati nella nostra piccola comunità di bordo, è che molti di loro hanno chiesto al nostro cappellano di bordo, don Luigi Callegari, di diventare cattolici.
A poppa del Veneto ora la S. Messa è ricorrente e i partecipanti sono sempre più numerosi. Questo è un altro trionfo! L’arrivo a Singapore Finalmente siamo giunti a Singapore: è qui che inizia il nostro viaggio di ritorno. Alcuni di noi sono stati incaricati dal Comando di bordo a scendere a terra mentre si effettuano le operazioni di rifornimento. La prima cosa da fare è quella di comprare vestiti e giocattoli per i bambini che ormai sono tanti. A bordo sono nate tante amicizie e ci si capisce molto bene in quanto quasi tutti i profughi parlano il francese e l’inglese.
Abbiamo pensato, addirittura, di organizzare uno spettacolo musicale che possa far divertire tutti, equipaggio compreso. La mia passione sono i bambini, visto che il mio lo conosco poco ed è con loro che spendo il mio tempo di libertà dal servizio, guardia e lavori di bordo, quasi per colmare il vuoto e per placare il senso di nostalgia e assenza della mia famiglia.
Rientro in Italia 20 agosto 1979
Finalmente siamo giunti a Venezia.
E’ stata dura ma siamo tutti felici e commossi per l’impresa che ci è costata enormi sacrifici. Sembrerà strano ma il sacrificio più grande è ora quello di lasciare queste anime al loro destino con l’intima speranza che sia pieno di soddisfazioni. Ora verranno suddivisi in gruppi e portati, dalla Croce Rossa Italiana, nei campi allestiti a Chioggia, Trieste, Treviso e così via… E noi? Noi continueremo a navigare, torneremo a Taranto… e poi chissà…
Ovviamente, questo è solo un capitolo del mio libro, scritto negli anni, pubblicato nel 2013. Il mare. Tragedie, passioni ed amori impossibili. Camminando una notte d’estate
Quando rileggo dei passi, li rivivo. Riavvolgo il nastro di una vita vissuta che spero possa essere ancora ricca di colpi di scena. Me lo auguro, lo auguro anche a voi. Francesco Leggieri
Ringrazio tutti coloro che postarono qualche foto ricordo di quella missione sulla mia pagina f.b. “QUELLI CHE NEL 79 ERANO COL V. VENETO A RECUPERARE I PROFUGHI VIETNAMITI“
Questo racconto è dedicato a tutti quei ragazzi di allora, soprattutto a Peppe Palmas ed Antonio Cafaro che non ci sono più, con i quali ho diviso tante e tante ore su quel bastimento denominato “Vittorio Veneto”.